Ripartiamo con un personale Storytelling.
Lì, nella grande villa col suo splendido parco, non ci sono nata, ci sono arrivata d’estate, e l’arietta di agosto con il cielo limpido di oggi mi riporta ad un preciso momento.
Venivamo da Roma, era un pomeriggio del 1976.
La meta era proprio villa Wenner, un’abitazione signorile che era stata, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, la residenza della famiglia Wenner, principale promotrice degli insediamenti industriali tessili nella Valle dell’Irno. Don Alberto Wenner la fece costruire nel 1862 sul terreno comunale di Pellezzano, nella località ancora oggi denominata Villini Svizzeri: in loco sorsero, infatti, altre costruzioni destinate alle famiglie dei cogerenti e degli impiegati delle industrie stesse.
Un posto magico stava per diventare casa nostra.
“Ma allora, quando arriviamo?”
La mia voce cominciava a tradire impazienza.
Tra battute scherzose e richiami, tutta la famiglia composta da cinque persone – mamma Dina, papà Vincenzo, le mie due sorelle Teresa e Isabella, e naturalmente io, la piccola Rosetta – si ritrovò davanti ad un maestoso, storico, cancello da aprire. Il nonno Vito, che ha vissuto gli ultimi anni della sua vita con noi, sostenuto nella vecchiaia dalla forza e dalla bellezza del luogo, ci avrebbe raggiunto dopo qualche settimana.
La fantasia di una bambina di nove anni che si scopriva di colpo a scorrazzare in un giardino davanti ad un’imponente dimora, si eccitava moltissimo, ma nella totale ignoranza, in quell’ istante, di ciò che era stato e del futuro.
Comunque, il senso del mistero c’era, ed in ogni caso, la prima emozione avuta scendendo dall’automobile, fu proprio il giardino. Prato… Che gioia! Lo potevo calpestare, correrci sopra. Lo Stenotaphrum alto aveva delle spighe, a me sembravano strane perché era un tipo di erba che non conoscevo ancora. Mia madre alzava gli occhi e guardava gli alberi: il Cedro del Libano, l’Albero di Giuda, il Pino domestico… tutti nomi che non sapevo; è stata proprio lei, col tempo, adinsegnarmeli.
Le ortensie all’angolo della villa posseggono ancora una bellezza, non hanno mai richiesto innaffiatura neanche nei periodi estivi più caldi. Ci sono da sempre, le ho trovate anche in alcune foto storiche.
Ogni immagine, ogni profumo e soprattutto ogni ricordo ha un valore prezioso, una pietra su cui costruire.
Alcune persone, anziani del paese con cui i miei genitori avevano stretto amicizia e che frequentavano casa, mi raccontavano molti aneddoti sulla presenza degli Svizzeri e sui precedenti abitanti. Io ascoltavo attenta ed assorbivo tutto facendo quasi diventare quelle storie miei ricordi.
Un altro episodio molto importante impresso nella mia memoria fu l’apertura del giardino e della villa che un anno si fece per una manifestazione, una giornata di libero accesso a luoghi e siti storici, anche privati.
Fino a quel momento che sì, mi piaceva il giardino, la casa, ma mi resi conto che inconsciamente avevo sempre creduto di vivere in un posto “normale”. Lo sguardo delle persone che arrivavano mi smentiva.
Da allora per me, il bisogno di condividere è diventato fondamentale.
Ci sono state molte occasioni, importantissime, in cui ho potuto condividere: iniziative culturali riguardanti la storia di questo luogo, eventi, momenti che hanno inciso fortemente su di me e sulla mia vita.
Nuove amicizie, legami, una consapevolezza nuova; ad esempio, è rimasto un ottimo rapporto con alcuni discendenti della famiglia Wenner, ed anche tutte le loro testimonianze sono state fondamentali per farmi sentire felice di quello che il destino mi aveva riservato.
Ci sono state anche esperienze negative, che hanno segnato profondamente non solo me e la mia famiglia, ma un territorio intero.
Era il 23 novembre 1980. Ricordo molto bene quel tardo pomeriggio. Il mio mondo era tutto nei libri di seconda media. Poco prima un caldo strano, quasi piacevole. Poi un boato, uno squarcio sul cielo nel tetto dicamera mia, un cielo senza stelle.
In quel momento la paura fece da padrona.
Una terribile scossa di terremoto aveva sconvolto l’anima dalla natura stessa.
Di lì a quattro anni mio padre ci avrebbe improvvisamente lasciati per un attacco di cuore. Ci lasciò non prima di avere rimesso in piedi tutta la villa, villa Wenner che era diventata per sua volontà anche villa Dina, il nome dell’unica vera donna della sua vita.
Fu dal quel preciso momento che capii il valore straordinario di mia madre, come donna e come lottatrice contro ogni difficoltà per difenderequesto luogo.
È come se la rivedessi nelle sue battaglie quotidiane, e questo mi fa affrontare meglio le mie battaglie di oggi.
L’amore per la natura, il bisogno di essere nella natura, ha sempre prevalso.
Me lo aveva inculcato lei.
Quando la mattina mi alzo, entro in cucina ed attraverso la grande finestra, vengo accolta dalla vista sul maestoso acero – un albero bellissimo, che col suo sembrare eterno, in realtà, scandisce il tempo
mutando foglie e colori – mi sembra di avere i suoi stessi occhi, gli occhi di
quando piantavamo i gelsomini, sceglievamo i gerani…
No, io non sono sicuramente lei, ma il nostro giardino ha contribuito a creare tra noi un legame indissolubile, che va oltre, oltre una tremenda giornata, sempre d’agosto, quando ci avrebbe lasciate. Ci doveva lasciare per essere sempre qui.
Come dicevo all’inizio, in questo posto fatto di verde, di storia, non ci sono nata, e non posso neanche essere certa che ci morirò. La cosa non mi sembra abbia molta importanza.
Oggi sono sicurissima di un’altra cosa, di appartenere a questo giardino, a questa casa, a questa terra e alla sua storia in modo viscerale.
Si tratta semplicemente d’amore. Perché un luogo è di chi lo ama.